Camillo Sbarbaro, il valore del silenzio

“Non esiste il silenzio” è uno degli ultimi lavori di Danilo Dolci, il cui titolo sembra voler esprimere l’idea che quando non parliamo con le parole non siamo muti perché una qualche forma di comunicazione avviene ugualmente. Nella scelta del titolo Dolci riprende un racconto biblico in cui Cristo si trova all’ingresso di Gerusalemme dove lo accoglie la folla in subbuglio: alla richiesta di alcuni farisei che chiedono di farla tacere risponde che: «Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre». Dolci si serve di questo racconto del Vangelo secondo Luca per far riferimento al silenzio che derivava dalla sottomissione degli abitanti di Partinico alle intimidazioni della mafia che voleva ostacolare la crescita di un movimento sociale e culturale dal basso. Il coinvolgimento che animava tale movimento comprendeva molti intellettuali dell’epoca, figure come Piero Calamandrei, Norberto Bobbio, Carlo Levi, che, come le pietre citate nel Vangelo, avrebbero gridato la loro protesta ad ogni atto intimidatorio mafioso.
Cito questo racconto biblico perché mi pare si presti ad un’altra interpretazione: quella di un silenzio impossibile da ottenere. Non esprimersi non vuol dire esclusivamente rinunciare o escludersi. Può voler dire isolarsi per studiare e congegnarsi, oppure prendere le distanze che, come abbiamo raccontato qui, può essere utile ad avere uno sguardo più largo e neutrale. Ci sono silenzi che parlano e rappresentano, contro ogni apparenza, tutto fuorché una condizione di immobilismo. In questa stessa direzione procede il prossimo lavoro del blog: la direzione è quella del riconoscimento della ricchezza e della potenzialità del mondo interiore. Questo blog, insieme alle pagine social, si fonda sulla parola scritta, sia come input, per mezzo delle letture, sia come output, per quello che poi scriviamo. Ciò parrebbe in contraddizione con il tema del silenzio se non si evidenziasse il punto cardine di questa riflessione: la parola non può tutto.

L’inadeguatezza della parola

La lettura che voglio qui condividere riguarda Camillo Sbarbaro, il poeta genovese reso celebre da Eugenio Montale, che ha vissuto in giovane età il lutto del padre. Proprio su questo strappo e sul significato del dolore sono incentrati questi suoi versi tratti da Pianissimo, la raccolta poetica di Sbarbaro che ebbe i maggiori riflessi nella letteratura italiana del ‘900:

I miei occhi implacabili che sono
sempre limpidi pure quando piangono
Amicizia non vale ad ingannare.
Quando parliamo troppo forte o quando
d’improvviso taciamo tutti e due,
vedono essi il male che ci rode.
Col rumor della voce noi vogliamo
creare fra di noi quel che non è:
quando tacciamo non sappiam che dirci
ed apre degli abissi quel silenzio.
Allacciarci non giova con le braccia
se distinti restiamo ai nostri occhi.

A ingannarli non vali neppur tu,
Dolore. Quando allenti la tua stretta,
il mio padre e la mia sorella anch’essi
s’allontanano paurosamente.

Certe volte vedendo una bestiola
che lecca una bestiola e gioca seco,
mi morde il cuore una crudele invidia.

Con gli occhi vedo che mi sei negata
gioja di voler bene a qualcheduno.

Sono gli occhi implacabili, impossibili da ingannare, a rimanere sempre limpidi. Solo essi sono in grado di attingere alla verità e a configurare senza menzogne la propria condizione interiore. In tale contesto, inutili sono l’amicizia e la parola, in quanto sarebbero capaci soltanto di interrompere il silenzio e di acuirne la coscienza quando tacendo si riaprono gli abissi. Altrettanto inutile è il dolore − e qui il passaggio è più complesso − perché è ritenuto anch’esso ingannevole. Forse perché, mi pare di intuire, il dolore è solo la condizione che si accompagna al ricordo, ma in sé non è risolutore di una pena. Quando si smette di soffrire è perché si smette di ricordare. C’è un legame tra ricordo, dolore e vicinanza, per cui se un ricordo si fa alla mente meno doloroso è perché fra esso e il dolore si è frapposta la distanza. In altre parole, qualcosa impossibile da dimenticare è qualcosa che mai si smetterà di soffrire.
Di tutti questi elementi il silenzio ne è lo sfondo o, per dirla con L’assurdo, ne è la colonna sonora. Il ricordo si fa nel silenzio, riassemblando tra sé immagini, voci ed emozioni. Quando si ricorda in compagnia è per aggiungere dettagli o per richiamare qualcosa che l’altro ha perduto (ti ricordi quando…?). Questo dominio del silenzio in questo componimento m’è parso da subito preziosissimo perché è un contegno senza posa che si apre alle meditazioni più profonde e sincere. Almeno, nell’ottica in cui rimanere in silenzio non vuol dire rinunciare.

Negli ultimi mesi le attività del blog hanno riguardato il contesto cittadino in cui viviamo con la sottoscrizione del manifesto “Chiamata alle arti” per cui abbiamo focalizzato le nostre energie. Poi è venuto un silenzio di quasi due mesi, non per effetto di un ripudio, ma come conseguenza della disillusione che ci ha preso dall’esito di quella discussione. Il silenzio che ne è derivato ha incontrato nel mese di giugno, per una strana coincidenza, la poesia di Sbarbaro e poi di Saba nella quale mi pare di scorgere come elemento comune quello di una ricerca intimistica, di una poesia che si compie all’interno per restituire ai lettori la propria vita. C’è in questa visione silenziosa dello scrivere un’idea di dignità a cui naturalmente il corso degli ultimi eventi ci ha fatto approdare.

Claudio Mirabella

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